Nel cuore e tra le vastità del PNALM fino alla sua vetta principale : il monte Greco

 

A due passi dal trambusto dei vacanzieri in “settimana bianca”, scenari polari e panorami a tuttotondo sull’Appennino centro-meridionale. Un circuito d’alta quota di grande soddisfazione, con tanto di spunti alpinistici per i più intraprendenti.

Sei giorni prima, con lo sguardo sognante rivolto a nord, lo osservavo dal lontano Colle Tamburo, salendo al Miletto. Piantati ramponi e piccozza nella neve ghiacciata della cresta, sfidando il gran vento gelido e faticando a reggermi in equilibrio, mi soffermavo ad ammirare la biancheggiante cortina di vette, dalle Mainarde alla Majella. Spiccava lì, proprio nel mezzo, con quel suo profilo inconfondibile. Immaginavo di poterne percorrere la lunga cresta arcuata e di attraversarne i placidi pendii orientali; ne pregustavo quasi il piacere, figurandomi in quella distesa di neve e ghiaccio, tanto inospitale quanto attraente – per pochi, s’intende – in questa stagione.
Passano appena un paio di giorni – nel frattempo finisce il 2012 e inizia l'anno nuovo – quindi un paio di e-mail e telefonate, un passaparola all'ultimo minuto, ed eccomi già ai piedi di questa montagna. Mi godo l’alba in solitudine, salendo da Roccaraso all'Aremogna, prima che arrivi la folla di vacanzieri. Sebbene un minaccioso fronte di nubi d'alta quota si stia avvicinando, l'aria è tersa e la temperatura non troppo rigida. Si può sperare bene per il resto della giornata: questo angolo d'Appennino non mi è molto familiare, e desidero studiarlo bene; da lassù non vorrei perdere nemmeno un dettaglio dei paesaggi che si apriranno intorno. Già durante il viaggio in auto, su e giù per le valli molisane, aguzzavo la vista provando a riconoscere forme familiari tra i profili sfumati dalla foschia mattutina.
Quando Giorgio e Giacomo mi raggiungono, gli impianti pullulano di turisti con sci e racchette; il loro arrivo è un gran piacere – non ci si vedeva da mesi – e mi risolleva un po'. Lì in mezzo mi sentivo un po' alieno: un piccolo e lento camminatore stordito dal mondo dei frenetici corridori della neve. Ora ci siamo tutti, e dopo un caffè siamo pronti per iniziare. Il programma prevede una comoda e rapida salita alle Toppe del Tesoro in cabinovia, poi l'attraversamento dell’altipiano dell’Antone Rotondo, la traversata della cresta del Greco, il ritorno alle Toppe del Tesoro e la discesa, sempre "via cavo", all'Aremogna. Lo so, qualcuno storcerà il naso leggendo "cabinovia", soprattutto perché in questo caso ti consente di arrivare direttamente in cima alle Toppe del Tesoro (2140 m) – uno dei duemila appenninici – senza un briciolo di fatica. Ma non si pensi che, scesi dalla cabina, abbiamo considerato "nostra" la cima: come vi racconterò, il diritto di spuntarla sulla personale lista dei duemila l'abbiamo conquistato, non senza fatica, sulla via del ritorno.
Alle 9.00 finalmente la cabinovia parte, e dieci minuti dopo abbandoniamo gli ultimi avamposti turistici in cima alle Toppe del Tesoro. Il Greco, di fronte a noi, sembra una gigantesca onda pronta ad infrangersi sulla sottostante distesa di morbidi flutti bianchi. Ci dirigiamo allo dell’Antone Rotondo (2000 m) che giace sul fondo di una piccola conca nel mezzo dell'altipiano omonimo. Per raggiungerlo perdiamo un po' di quota, inabissandoci in quel mare di neve abbagliante che, a tratti, apre scorci panoramici sui lontani rilievi campani: il Matese, che inizialmente fatico a riconoscere per la sua insolita veste, è metallizzato dalla luce del mattino.
La piccola costruzione in pietre e mattoni non dista molto dal nostro punto di partenza. Avanzando su neve poco consolidata, che a tratti ci fa sprofondare con l’intero scarpone, in poco più di dieci minuti siamo sulla carrareccia – completamente ricoperta di neve ma individuabile dall’occhio attento – che, passando per lo Stazzo Ospeduco, conduce al valico di cresta immediatamente a N del Greco. È qui che abbiamo individuato il più agevole passaggio d’accesso alla cresta Gravare-Greco-Chiarano; tuttavia, ben prima di arrivarne alle pendici, ci accorgiamo del fronte di cornici di neve, slanciate verso il nostro versante di salita, che sembrano accucciate a farne la guardia. Senza scoraggiarsi, superati gli ultimi saliscendi che precedono la base della cresta, terminiamo l’avvicinamento e ci prepariamo ad affrontare un ripido pendio di neve. In superficie è piuttosto molle, ma può nascondere strati ghiacciati situati a qualche centimetro di profondità: per questo, prima di intraprendere la salita-chiave, indossiamo ramponi ed impugniamo le piccozze. Scegliamo di risalire puntando ad un gruppo di rocce affioranti, per evitare di sollecitare la copertura nevosa nel punti più sensibili al nostro sovraccarico: non ci sono nemmeno tracce di cedimenti spontanei, ma è meglio essere diffidenti.
Il pendio è davvero ripido, ci costringe ad avanzare con andatura lenta su una traiettoria zigzagante. Al di sopra delle roccette inizia il tratto più impegnativo, la neve si fa più dura: ramponi e piccozza diventano indispensabili. Con Giorgio e Giacomo che mi seguono con piccolo distacco, punto deciso un ristretto tratto di cresta libero da cornici di neve consistenti. Il passo è lento ma inesorabile: la pendenza – stimata poi di 70-75° – si può affrontare solo affondando le punte dei ramponi nella neve (che, come previsto, è ghiacciata al di sotto del cedevole strato superficiale) e aiutandosi un po’ con la piccozza. Gradino dopo gradino, la sommità della cresta si avvicina rapidamente; l’ultimo passaggio è quasi verticale, ma per fortuna la cornice di neve si lascia scavare con facilità, cosicché in breve possiamo tutti tirare il fiato dall’agognata selletta (2143 m) tra il Greco e la Serra delle Gravare.
Il cielo si sta aprendo lentamente, ed il panorama è già mozzafiato da qui: da un lato la mole piramidale del Greco, dall’altro il lungo filare della Serra Rocca Chiarano e le grandi montagne abruzzesi, in particolare il Sirente e la Majella , e poi il Gran Sasso all’orizzonte. Immersi in questo sublime paesaggio invernale, dopo aver toccato la Serra delle Gravare (2104 m, un anonimo e scarsamente riconoscibile rialzo di cresta), volgiamo a S per affrontare i 200 m di dislivello che ci separano dalla vetta principale di giornata. La spalla del Greco, completamente adombrata, è ricoperta di un sottile strato di neve ventata e ghiacciata in superficie, che lascia emergere fili d’erba e roccette. La progressione è agevole, cosicché possiamo prenderci il tempo di soffermarci a godere delle vedute circostanti; nel frattempo prestiamo attenzione affinché i ramponi non si danneggino, cercando di evitare le zone più rocciose del pendio. Passa poco più di mezz’ora ed avvistiamo la croce di vetta (2283 m) che si staglia nel blu intenso del cielo ormai quasi completamente terso. Appesa alla croce, una striscia di bandierine dai colori vivaci oscilla appena, carezzata dalla debole brezza mattutina; tutt’intorno il paesaggio, a perdita d’occhio, è un trionfo di cime abbaglianti, candide conche e dolci colline azzurrine. Consumiamo uno spuntino senza mai staccare lo sguardo dallo spettacolo naturale, e prima di ripartire ci prendiamo ancora un po’ di tempo per provare ad immortalarlo con le nostre fotocamere.
Per raggiungere la meta successiva bastano appena trenta minuti di cammino su una cresta ampia e piacevolmente digradante verso sud. Ora sono i paesaggi meridionali ad accompagnare i nostri movimenti: le variegate forme tondeggianti dell’Appennino Campano, emergendo dalle nebbie di valle, ci guidano al bel pulpito panoramico del Monte Chiarano (2178 m). La sosta in vetta stavolta è molto breve; preferiamo dedicare qualche minuto in più ad esplorarne i dintorni, al fine di individuare un percorso di discesa che ci tenga lontani dalle corpose cornici di neve e dai pendii più ripidi. Decidiamo di seguire una crestina rocciosa scarsamente ricoperta di neve, ma ricca di erba e pini mughi, che scende con ripidi gradini sul limite destro di un canalino nevoso. Il fondo misto ci costringe a tenere allacciati i ramponi, che ripetutamente sfregano le rocce – a casa ci toccherà rifinirne le punte! – ma ci consentono di superare in sicurezza i passaggi a rischio di instabilità. Circa 100 m più in basso, per evitare un’eccessiva perdita di quota, lasciamo la crestina ed iniziamo il lungo traverso verso NNW che ci riporterà alla base della Serra delle Gravare.
I passaggi al di sotto di pareti rocciose, cariche di neve e ghiaccio, sono sempre suggestivi. Stare all’ombra di una mole incombente mi fa sentire un umile viandante in balia della natura fredda, deserta e selvaggia. Ti senti attratto in verticale e schiacciato al terreno contemporaneamente, è una fusione delle tensioni elementari dell’uomo. Uno stato d’animo ben diverso dall’ebbrezza di una cima o dal brivido adrenalinico di una parete, ma pur sempre capace di suscitare intense emozioni. Procedo con Giorgio e Giacomo fino a ritrovare le orme del nostro percorso d’andata. Arriva così il momento di staccarsi dalle pendici del Greco; ci concediamo una pausa per rifocillarci un po’, e per accommiatarci dalla montagna protagonista di questa giornata. Poi ripartiamo prontamente: le Toppe del Tesoro e l’Aremogna sono ancora lontane.
Con la fatica accumulata, l’attraversamento a ritroso dei piani di Antone Rotondo è più lungo e gravoso del previsto. Il susseguirsi di ondulazioni e grandi gobbe ricoperte di neve ci porta continuamente su e giù, e ci nasconde la stazione della cabinovia fino a quando non scavalchiamo l’ultima collinetta a ridosso dello stazzo già incontrato qualche ora prima. Da lontano notiamo che la cima delle Toppe è invasa da un nutrito drappello di turisti; mentre affrontiamo l’ultima rampa innevata, veniamo avvolti da un intenso profumo di carne alla brace: un brusco ma gradevole ritorno alla civiltà!
Giorgio e Giacomo, come da programma, si fermano qui; manca un’ora alla chiusura della cabinovia, e preferiscono tornare a valle rapidamente; il viaggio di ritorno a casa non sarà brevissimo, quindi meglio non tardare troppo. Io, invece, cambiando i miei programmi all’ultimo minuto (avevo pianificato lo stesso ritorno a valle), decido di proseguire per il vicino Monte Pratello. Consulto la carta, e stimo che nel giro d’un paio d’ore dovrei essere a valle: poco più di due chilometri, con poco dislivello, mi separano dalla quinta vetta di giornata, poi altri tre chilometri per scendere all’Aremogna costeggiando le piste Canale e Pallottieri. Ci salutiamo calorosamente, soddisfatti per le intense ore trascorse, e ci diamo appuntamento alla prossima avventura sull’Appennino bianco.
Lascio le Toppe del Tesoro puntando a N, ed imbocco il canalone di una pista da sci secondaria. Anziché restare in quota per raggiungere il Pratello dopo un comodo percorso di cresta, commetto l’errore di scendere verso la pista delle Rocce Bianche, perdendo quasi 200 m in verticale. Per non intralciare sciatori e snowboardisti, avanzo a mezzacosta sui ripidi pendii di neve ghiacciata fino ad intercettare la seggiovia del Pratello; fiaccato per l’inatteso sforzo fisico richiesto da questo lungo traverso, rallento un po’ il passo per recuperare fiato. Nella selva di antenne, pali e cavi non è facile individuare correttamente la cima; per fortuna un cartello con l’indicazione “Raccordo Monte Pratello” – degno nome per una sciovia così trafficata! – mi indica la direzione corretta da seguire. Ancora qualche minuto di cammino ed avvisto la croce di vetta: è sul cocuzzolo erboso del Pratello (2058 m), che sovrasta di pochi metri un’ingombrante rifugio-stazione. Se non fosse stata devastata dagli impianti sciistici, sarebbe stato un bellissimo punto d’osservazione volto al cuore delle montagne abruzzesi. La discesa è rapida e senza intoppi (un gatto delle nevi mi sfreccia accanto, un paio di snowboarder si lanciano dal pendio sovrastante alla mia traiettoria, ma qui sono io l’invasore!); se avessi avuto un paio di sci – e, soprattutto, se avessi saputo usarli – sarei tornato all’auto in un batter d’occhio. Invece mi accontento di procedere tranquillamente mentre il cielo imbrunisce. Quando avvisto la base delle piste, i colori del tramonto rivestono d’oro e fuoco le faggete innevate e le morbide forme dell’orizzonte. Un’altra splendida giornata d’alta quota volge al termine. Inspiro ancora un po’ di aria sottile e mi avvio leggero verso casa.